incenzo Schiavo, imprenditore napoletano, è da 17 anni in Confesercenti. Oggi è vice presidente nazionale con delega al Mezzogiorno di una delle più grandi, radicate e importanti organizzazioni datoriali del Paese. Schiavo ne ha viste tante di crisi economiche e finanziarie. Le ha attraversate tutte difendendo sempre gli interessi di queste piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale economica dell’Italia. Una crisi lunga come quella che dal 2020 ad oggi fa vivere incubi ad ogni imprenditore forse non l’ha mai vissuta. “Siamo ancora nell’imbuto di pandemia e vaccini e ora dobbiamo fare i conti con la crisi energetica” spiega Schiavo. Come ne usciamo? “Mi piacerebbe risponderle bene, presto e meglio di prima, ma sono abituato a dire la verità”, risponde d’acchito Schiavo.
Il caro energia incide allo stesso modo su tutte le aziende o fa più male alle aziende del Sud?
Diciamo che i mali di questo Paese sono democratici: li subiamo tutti. Il salasso bollette dell’elettricità e del metano è dunque uguale per tutte le imprese italiane, dal Meridione al Settentrione. Tuttavia è evidente che i due territori viaggino a velocità diverse e le risposte a certe crisi di sistema sono diverse. Per cui, al Sud le difficoltà sono più alte perché c’è maggiore povertà e ci sono minori opportunità di investimento e di guadagno. Al Nord, dove la situazione economica è più stabile e serena, si patisce un po’ meno. L’economia incide in maniera differente e quindi il caro energia diventa più sopportabile. Al Sud diventa l’ennesimo macigno per gli imprenditori che devono battagliare, ora anche su questo fronte, non per guadagnare ma per sopravvivere.
Abbiamo già dei numeri o delle tendenze su quante aziende rischiano di non farcela a restare aperte a settembre perché non riescono a sostenere i costi dell’energia? E quanti posti di lavoro sono a rischio nelle regioni del Sud?
In Campania abbiamo circa 500mila imprese attive: di esse almeno il 30% rischia di non superare la crisi energetica per un totale di oltre 150mila imprese a rischio e di circa mezzo milione di lavoratori che potrebbero perdere, di conseguenza, il posto. Allargando il discorso all’intero Mezzogiorno le imprese attive sono circa 17 milioni. Di esse oltre mezzo milione di aziende non hanno la forza per sopportare gli aumenti e sono fortemente a rischio chiusura o fallimento. Di conseguenza sono circa 2 milioni le persone che rischiano di perdere il posto di lavoro.
Schiavo, lei ci sta parlando di una crisi di dimensioni incredibili. Sa che cosa significano due milioni di persone che dall’oggi al domani potrebbero ritrovarsi senza lavoro?
Stiamo parlando della tenuta del Paese, di una vera e propria emergenza sociale. Il Governo deve intervenire subito. Non c’è un secondo da perdere. Occorrono risorse immediate per evitare che accada l’irreparabile.
Che cosa potrebbe accadere se non ci fosse un intervento tempestivo del Governo per sterilizzare gli aumenti dei costi dell’energia?
Il rischio è, come dicevo, quello della chiusura delle attività, con conseguente grave ripercussione economica sui lavoratori e sulle loro famiglie. Il che, come in un vortice travolgente ed agghiacciante, porterebbe a gravissime ripercussioni, con un blocco totale dell’economia e con milioni di disoccupati.
Confesercenti ha fatto richieste specifiche al Governo Draghi per aiutare le aziende che sono sull’orlo del tracollo?
Abbiamo chiesto al Governo un contributo serio, concreto e tempestivo per poter sostenere le imprese, per non lasciarle alla deriva e per aiutarle a restare sul mercato. Urgono interventi immediati sia da parte del Governo Draghi che di quello che verrà formato dopo le elezioni e che, presumibilmente, sarà operativo solo a novembre. Chiediamo con forza che l’attuale Governo compia un’azione immediata, sospendendo o tagliando tali costi, con sostegni e altri interventi a supporto delle nostre imprese.
Le piccole e medie imprese del commercio, del terziario, sono un po’ la spina dorsale dell’economia del Paese: quali sono i principali problemi che devono affrontare dopo oltre due anni di congiuntura economica internazionale sfavorevole? Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina…
Innanzitutto si trovano a combattere contro un’inflazione inedita, dal momento che era dagli anni ’80 che non registravamo un aumento dei prezzi così. Di conseguenza le nostre attività devono far fronte ad incassi sempre più bassi a causa dell’impossibilità per tante persone di poter spendere come prima. Il Covid per 2 anni ha rallentato l’economia del nostro Paese distruggendo i fatturati di decine di migliaia di imprese. Ora la guerra e i suoi effetti hanno aggiunto, al problema del calo di fatturato, anche l’aumento delle spese fisse. Tutto ciò, specie a distanza di un lasso di tempo brevissimo, rischia di mettere in ginocchio le imprese, già provate dalla crisi – dal momento che devono ancora risollevarsi dalla post-pandemia.
Quanto incidono le sanzioni economiche occidentali a Mosca sulla sopravvivenza di aziende italiane che prima esportavano i loro prodotti in Russia?
Prima della pandemia le imprese italiane esportavano beni e servizi in Russia per un valore di circa 8 miliardi di euro. Durante la pandemia il fatturato era sceso a circa 7 miliardi, ma adesso l’export rischia di scomparire completamente. Un danno imponente.
Il ritorno del turismo in una grande capitale del Mezzogiorno come Napoli ha in qualche modo alleviato le sofferenze delle aziende del settore o anche in questo campo ci sono problemi seri da affrontare legati ai costi dell’energia e alle difficoltà contingenti?
Sicuramente il turismo è un’arma importante per il Sud, per Napoli e la Campania è un asset economico fondamentale. Il turismo dovrebbe essere il vero motore dell’economia del Mezzogiorno. Lo è non solo per le attività ricettive, ma anche per l’intera filiera e l’indotto. Ci sono migliaia di attività che vengono investite di conseguenza dai benefici del turismo. Tuttavia anche in questo senso servirebbe avere un maggiore sostegno, per rendere il turismo il volàno dell’intera economia. Faccio l’esempio di Napoli: per il centro storico e per le zone turistiche il boom quest’estate c’è stato, ma nelle zone periferiche ci sono state diverse difficoltà. E se il caro energia ha inciso sui ricavi nelle zone più affollate, in quelle meno battute ha avuto conseguenze nefaste.
Nei programmi delle forze politiche in campagna elettorale ha riscontrato attenzione per il commercio, per il terziario che Confesercenti rappresenta?
Credo e spero che le forze politiche conoscano l’importanza del settore che rappresentiamo, sia perché conta in Italia centinaia di migliaia di attività e – di conseguenza -milioni di lavoratori, sia perché muove miliardi di euro. Preferiamo non valutare quello che dicono in una fase di campagna elettorale come questa. Preferiamo dialogare con chi andrà al Governo ponendoci, come abbiamo sempre fatto, come interlocutori seri e collaborativi sempre che alle parole corrispondano i fatti.
Che cosa non riesce a digerire della campagna elettorale in corso? L’eccesso di promesse?
Preferisco non esprimere giudizi semplicemente perché amo ragionare su fatti concreti. Sicuramente, in passato, le promesse fatte in campagna elettorale che non sono state mantenute hanno infastidito non poco. Per certi versi determinando anche un allontanamento dei cittadini/elettori dalle istituzioni. In fondo se la gente diserta le urne qualche motivo ci sarà. Tornando alla sua domanda, però, quello che è difficile da digerire è il fatto che si faccia poco per snellire e migliorare la burocrazia. Le faccio un esempio: l’accesso al credito, che noi favoriamo con i nostri sportelli e le nostre convenzioni, viene sempre ostacolato da una burocrazia molto macchinosa.
Se potesse chiedere al prossimo Governo di fare qualcosa per il comparto che rappresenta che cosa chiederebbe?
La risoluzione, una volta per tutte, del caro energia, l’azzeramento della burocrazia che rallenta la nascita delle imprese, che andrebbe invece supportata, e blindare la sicurezza dei nostri territori, senza la quale lo sviluppo economico è fortemente inficiato.